martedì 18 giugno 2019




 
A PROPOSITO DI FOTOGRAFIA OTTOCENTESCA:
MICHETTI A MIRACOLI DI CASALBORDINO:
di Luigi Murolo
 
Lo storpio

                                       


 
Com’è noto, della festa della Madonna dei Miracoli in quel di Casalbordino, la più grande rappresentazione letteraria resta quella di Gabriele D’Annunzio descritta nelle memorabili pagine di Trionfo della Morte (1894). Dedicata l’opera al gran sodale Francesco Paolo Michetti, essa trova restituzione iconica proprio nei formidabili reportage fotografici che, in varie fasi, il pittore di Francavilla realizza in poco più di un decennio – dalla fine degli anni Ottanta dell’Ottocento fino agli inizi del Novecento (in particolare, dal 1895 al 1900) –. Funzionale alla restituzione su tela di un Abruzzo mitico, la camera fotografica michettiana indaga preminentemente l’antropologia dei rituali religiosi.

Più che seguire il meccanismo verista centrato sulla regressione dell’autore, Michetti legge la realtà umana di Casalbordino come sua interpretazione; l’interpretazione dell’artista. Sovrapponendosi in questo modo all’ “archeologia” attiva dell’antico cerimoniale originato dall’apparizione mariana al veggente di Pollutri Alessandro Muzii, egli vede le cose raffigurate come “fanatismo” popolare (in piena sintonia con la prospettiva ideologica dannunziana). Che connesso con il significato cristiano di festa (vale a dire solennità esclusivamente religiosa che congrega la multitudo fidelium per levar canti e preghiere insieme, sciogliere voti, impetrare grazie), restituisce plasticamente il gesto dei corpi che disegnano l’universo selvaggio della follia. Se è vero, infatti, che, nel mondo classico, il folle rappresentava la voce del divino, è ancor più vero che, per la décadence dannunzio-michettiana, l’occhio del pittore-fotografo scorge nella nuda vita dei corpi abbandonati il senso dell’homo sacer affidato al Dio pietoso. E qui, nelle immagini della decomposizione vivente della carne, la scrittura dannunziana di Trionfo della morte accompagna in controcanto la voce narrante:


«Era uno spettacolo meraviglioso e terribile, inopinato, dissimile ad ogni aggregazione già veduta di cose e di genti, composto di mescolanze così strane aspre e diverse che superava i più torbidi sogni prodotti dall’incubo».


Gli scatti michettiani hanno la forza di documentare quei resti “archeologici” immateriali delle arcaiche forme devozionali di pellegrinaggio sviluppatesi dopo il 1576, l’anno dell’apparizione – al settuagenario Muzio da Pollutri – della Vergine adagiata sopra un olivo e attorniata da un coro d’angeli. Un’immagine che lo stesso Pier Paolo Pasolini, in una sequenza di Edipo Re (1967), avrebbe utilizzato per restituire al mito ellenico – nel suo stile regressivo – l’incontro tra Edipo e l’Oracolo.
Una suggestione, insomma, ma solo una suggestione, che, pur nel disincanto della modernità, lo stesso visitatore odierno può provare nel rapporto personale che sa intessere con il genius loci.

Sulla Strada

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